La crescita del commercio mondiale è rimasta stazionaria nel 1 ° trimestre. Mentre prevediamo una ripresa nel 2019, un'ulteriore escalation della guerra commerciale potrebbe arrestare la crescita.
- La guerra commerciale USA-Cina sta gravando pesantemente sul commercio bilaterale: all'inizio del 2019 le esportazioni statunitensi verso la Cina si sono contratte del 30% su base annua e le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono diminuite del 9%.
- La crescita del commercio mondiale è rimasta stazionaria nel primo trimestre, a causa delle crescenti tariffe e dell'incertezza continua. Prevediamo un rallentamento dell'espansione fino al 2,0% nel 2019, per poi risalire a un ancor debole 2,8% nel 2020.
- Il rischio di un'ulteriore escalation in questa guerra commerciale globale è significativo. Nel peggiore dei casi, prevediamo che la crescita del commercio mondiale si fermerebbe quest'anno e si ridurrebbe del 2,3% nel 2020.
Le tensioni commerciali tra gli Stati Uniti e la Cina non accennano a diminuire e dopo essersi nuovamente riacutizzate a maggio, le probabilità di un accordo che ponesse fine alla guerra delle tariffe sono crollate. Una nuova tregua potrebbe essere concordata tra il presidente Trump e il presidente Xi al vertice del G-20 in Giappone il 28 e 29 giugno. Tuttavia, tale eventualità rimane molto incerta e, anche se ne viene raggiunta una, non è probabile che porti alla rimozione dei dazi attualmente in vigore. Per tanto, riteniamo che la crescita del commercio internazionale tenderà a contrarsi nel 2019 e nel 2020. Un'ulteriore escalation rimane una possibilità realistica che potrebbe significare disastri per il commercio globale.
Riprendono le misure ritorsive
La guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina risale approssimativamente all'aprile 2018, quando gli Stati Uniti imposero tariffe su acciaio e alluminio da tutti i fornitori, non solo dalla Cina. La Cina ha reagito imponendo tariffe fino al 25% su 128 prodotti statunitensi. Tale mossa è stata seguita da diversi round di misure commerciali punitive tra i due paesi (vedi grafico 1). Nell'ultimo in ordine di tempo, Washington ha innalzato i dazi su importazioni cinesi per un valore di 200 miliardi di dollari dal 10% al 25%, sostenendo che Pechino aveva fatto marcia indietro su quasi tutti gli aspetti di un progetto di patto commerciale tra Stati Uniti e Cina. La Cina si è vendicata aumentando le tariffe su 60 miliardi di dollari di importazioni statunitensi dal 5% al 25%.
Questi dazi bilateri ad oggi sono applicati all'1,8% del prodotto totale del commercio mondiale. Gli Stati Uniti hanno aumentato le tariffe su beni cinesi per un valore di 250 miliardi di dollari, principalmente per beni intermedi quali macchinari e apparecchiature. L'amministrazione statunitense ha minacciato di imporre dazi su 325 miliardi di dollari di merci cinesi che non sono ancora soggette a dazi di importazione, ampliandosi ai beni di consumo. La Cina si è vendicata con dazi doganali per 110 miliardi di dollari di importazioni dagli Stati Uniti e ha anche minacciato di aumentare le tariffe su tutte le importazioni. Ciò aumenterebbe la quota del commercio mondiale totale direttamente colpita al 3,7%. Inoltre, gli effetti indiretti si fanno sentire sulla fiducia, sugli investimenti e sulla catena di approvvigionamento.
Il commercio tra Stati Uniti e Cina è in netto calo
La disputa commerciale ha già avuto un impatto importante sul commercio bilaterale. Nel primo trimestre del 2019, le importazioni cinesi dagli Stati Uniti sono diminuite del 30% anno su anno, mentre le esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono diminuite del 9%. A prima vista, le esportazioni cinesi negli Stati Uniti potrebbero sembrare più resilienti delle esportazioni statunitensi verso la Cina.
Tuttavia, la conclusione che la Cina sia meno colpita dalla guerra commerciale potrebbe rivelarsi fuorviante. La forte crescita delle importazioni statunitensi maschera il declino delle esportazioni cinesi nei settori interessati dai dazi americani. I beni intermedi e i beni capitali sono i beni primari oggetto delle nuove tariffe statunitensi, interessando quindi settori come metalli, plastica e macchinari. Questi hanno visto le loro vendite negli Stati Uniti calare dal 20% al 40%, mentre le vendite negli Stati Uniti sono aumentate del 12% nei settori che non sono interessati dalle nuove tariffe. Senza questi dazi statunitensi, le esportazioni cinesi negli Stati Uniti potrebbero aumentare tra il 9% ed il 10%, invece di un calo totale del 9%.
Gli impatti osservati finora sono anche sproporzionati a causa della natura delle esportazioni mirate da ciascun paese. Circa un terzo delle esportazioni statunitensi verso la Cina sono prodotti agricoli e materie prime, che sono molto influenzati dal fattore prezzo e relativamente facili da sostituire con altri prodotti. Al contrario, la maggior parte delle esportazioni cinesi verso gli Stati Uniti sono prodotti manifatturieri più differenziati e dove la Cina ha spesso quote di mercato elevate. Così, mentre la Cina è stata in grado di sostituire le importazioni agricole statunitensi con beni provenienti da altri paesi, gli Stati Uniti devono affrontare un passaggio ad altri fornitori più costoso e più dispendioso in termini di tempo. Le esportazioni cinesi saranno indebolite nel tempo man mano che le catene di approvvigionamento si adegueranno e gli Stati Uniti troveranno altri fornitori.
Le guerre commerciali hanno costi economici significativi. Le stime basate su modelli di Oxford Economics stimano che il costo finale per gli Stati Uniti delle misure commerciali sia pari allo 0,2% del PIL (escluso l'ultimo round di aumenti tariffari a partire dal 10 maggio). Il costo della guerra commerciale per la Cina è stimato allo 0,5% del PIL. Mentre il PIL globale non subirà un impatto significativo, vi sono certamente alcuni danni collaterali osservati in altri paesi. Gli effetti negativi sono particolarmente ampi nei paesi che sono fornitori chiave delle industrie cinesi, come Giappone, Taiwan, Vietnam e Corea del Sud, dove le esportazioni verso la Cina sono diminuite del 10% - 20%. D’altro canto alcuni scambi con le economie del Sud-Est asiatico vengono deviati dalla Cina agli Stati Uniti (vedi grafico 3).
La crescita degli scambi è rallentata al 2% nel 2019
Trade stagnated in Q1 of 2019, making it the weakest quarter for world trade growth since Q4 of 2009, the height of the financial crisis. The stagnation observed is largely a result of rollover from Q4 of 2018. On top of negative effects of rising protectionism, trade was held back by weaker economic growth, financial market volatility, and tighter financial conditions in advanced economies. Economic growth has been stronger-than-expected in Q1 of 2019, especially as fiscal stimulus underpins Chinese import demand, and central banks in developed markets have paused or reversed their plans of monetary tightening. The temporary nature of this slowdown support our outlook that trade growth should recover after a cyclically weak 2018. New tariffs and retaliatory measures on the other hand are not so temporary, but, as discussed above, we can also see trade adjusting to them. The temporary nature of the slowdown can better be seen in trade momentum figures, particularly in Emerging Asia (rolling q-o-q growth; see chart 4).
Gli scambi commerciali sono rimasti stazionari nel primo trimestre del 2019, il più debole per la crescita del commercio mondiale dal quarto trimestre del 2009, durante l'apice della crisi finanziaria. La stagnazione osservata è in gran parte frutto dell’andamento del quarto trimestre del 2018. Oltre agli effetti negativi del protezionismo crescente, gli scambi sono stati frenati da una crescita economica più debole, dalla volatilità dei mercati finanziari e da condizioni finanziarie più restrittive nelle economie avanzate. La crescita economica è stata più forte del previsto nel primo trimestre del 2019, soprattutto perché lo stimolo fiscale sta alla base della domanda di importazioni cinesi e le banche centrali dei mercati sviluppati hanno sospeso o invertito i loro piani di inasprimento monetario. La natura temporanea di questo rallentamento conferma la nostra prospettiva secondo cui la crescita del commercio dovrebbe riprendersi dopo un 2018 ciclicamente debole. Le nuove tariffe e le misure di ritorsione non sono così temporanee, ma, come detto prima, è anche possibile vedere gli aggiustamenti commerciali ad essi relativi. La natura temporanea del rallentamento può essere meglio valutata nelle cifre relative agli scambi commerciali, in particolare nei paesi emergenti asiatici (crescita del q-o-q, vedi grafico 4). Tuttavia, con un inizio dell'anno così debole, il 2,7% di crescita che avevamo previsto nell’ Economic Outlook non è più realistico. Tenendo conto dei dati del primo trimestre e dell'escalation più recente nella guerra commerciale, ora ci aspettiamo che la ripresa strutturale dei flussi commerciali nel resto dell'anno possa portare la crescita del commercio mondiale solo al 2,0% nel 2019. Prevediamo che questi driver continueranno a sostenere la crescita nel 2020, portandola al 2,8%. Tuttavia, con grandi volumi di scambi già sottoposti a tariffe più elevate e una significativa incertezza delle politiche, i rischi al ribasso per questa previsione sono elevati.
È improbabile che i costi sostenuti dagli Stati Uniti a causa della guerra commerciale scoraggino il persistere delle politiche commerciali aggressive contro la Cina. Una tregua a breve termine potrebbe essere possibile dopo l'incontro del G-20 in Giappone, ma è improbabile che le tensioni commerciali si affievoliscano completamente e le attuali tariffe dovrebbero rimanere in vigore. Sia l'amministrazione che il Congresso degli Stati Uniti sono disposti a prendere una posizione più dura su questioni strutturali che non sono facili da risolvere, come la violazione della proprietà intellettuale e il trasferimento forzato di tecnologia, mantenendo elevata l'incertezza della politica attuata. In ragione di tutto questo, le nostre previsioni per il commercio globale sono relativamente cupe.
Una grave escalation di protezionismo potrebbe arrestare la crescita del commercio
Le tensioni commerciali esplicite tra le due maggiori potenze economiche del mondo sembrano essere la nuova normalità, aumentando il rischio di un'escalation oltre i dazi già in vigore. Questa eventualità rappresenterebbe un peggioramento significativo per i flussi commerciali globali. Esploriamo due scenari: una escalation moderata ed una più grave della guerra commerciale, sviluppata da Oxford Economics (OE). Quindi valutiamo l'impatto di questi scenari sulle nostre previsioni commerciali. Una moderata escalation della guerra commerciale include le tariffe minacciate presentate nella tabella 1. Gli Stati Uniti estendono i dazi del 25% a tutte le importazioni cinesi (per un valore di 575 miliardi di dollari), mentre la Cina si vendica facendo lo stesso con 150 miliardi di dollari di importazioni americane. Inoltre, gli Stati Uniti implementano una tariffa del 25% su tutte le auto e le importazioni di parti di automobili (escluse le importazioni dal Canada e dal Messico).
I partner commerciali statunitensi rispondono con aumenti tariffari corrispondenti sulle importazioni di auto dagli Stati Uniti. Oxford Economics stima che questo ridurrebbe di 0,1 punti percentuali la crescita del PIL mondiale quest'anno (2,6% invece del 2,7%) ed eliminerà qualsiasi ripresa nel 2020 (2,5%). Gli effetti sul commercio globale sarebbero ancora più disastrosi. Stimiamo che il commercio mondiale rallenterebbe ulteriormente fino a solo l'1,3%, al di sotto dell'ultimo calo osservato nel 2016. Dopo questo shock iniziale, prevediamo che il commercio si riprenderà al 2,1% nel 2020, man mano che i paesi si adegueranno diversificando i canali commerciali e di approvvigionamento internazionale.
Una intensa escalation in una vera e propria guerra commerciale globale sarebbe disastrosa per la crescita del commercio internazionale nel 2019 e nel 2020. In questo caso, gli Stati Uniti aumentano i dazi al 25% su tutte le importazioni cinesi e la Cina a sua volta fa lo stesso. Gli Stati Uniti hanno anche aumentato le tariffe al 25% su tutte le importazioni di pezzi di automobili e auto, ma rimuovono le esenzioni per il Messico e il Canada. Oltre a ciò, gli Stati Uniti impongono tariffe del 10% su tutte le importazioni da altri importanti partner commerciali, tra cui l'UE e il Giappone. La risposta di rappresaglia è data da dazi corrispondenti sulle importazioni statunitensi.
Le conseguenze negative in caso di realizzazione di questo più grave scenario sono sostanziali. Ci sarebbe un forte rallentamento della crescita del PIL globale, al 2,3% quest'anno e all'1,4% nel 2020. In questo scenario peggiore, stimiamo che la crescita del commercio si fermerebbe nel 2019 con una crescita prevista solo dello 0,2% e una contrazione del 2,3% nel 2020. Ciò sarebbe dovuto alla crisi economica globale che ridurrebbe la domanda complessiva di scambi. Inoltre, le barriere commerciali dirette tra le maggiori economie del mondo porterebbero ad una diminuzione drastica delle esportazioni per i paesi integrati nelle catene di approvvigionamento globali, in particolare le economie asiatiche più aperte. Infine, il netto aumento dell'avversione al rischio aumenterebbe la volatilità dei mercati finanziari e inciderebbe negativamente sul sentiment dei consumatori e delle imprese, con conseguente rinvio degli investimenti e delle decisioni di acquisto importanti da parte dei consumatori.
Dana Bodnar, economist
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Theo Smid, economist
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